Sono appena tornato da sei giorni di viaggio. Io, l’autista, il traduttore e le strade sassose dell’Afghanistan. Finalmente di nuovo sulla strada.
Siamo andati in alcune regioni lontane, nella provincia di Bamyan. Dove una volta dimoravano le grandi statue dei buddha che sono state distrutte dai Taleb. Non c’è elettricità, rete telefonica e tanto meno internet. E’ una terra di pastori e agricoltori, dove si lavora ancora con le mani nude. Il viaggio è stato stancante ma bellissimo. Mi riempio gli occhi di bellezza e umanità.
Questo è il motivo per cui non ho potuto commentare prima questo bel post di Alice.
Il caso qui lo chiamano Allah. Ed in qualche modo lo si sente più vicino, si vive costantemente in balia degli eventi. Tutto può succedere e la mia mentalità di occidentale a cui piace pianificare il lavoro, in queste terre brulle deve dare spazio alla creatività. Inshallah, se Dio vuole. Questo è quello che dicono, e questo è quello che bisogna imparare se si vuole sopravvivere. Possiamo programmare le cose ma la nostra auto, tenuta assieme da nastro adesivo, potrebbe rompersi ad ogni curva o potremmo non trovare un posto dove passare la notte. Ma Allah si è preso cura di noi in questo viaggio, tutto è andato bene. E abbiamo incontrato tanta gente che ci ha offerto mele, latte, yogurt, tanti sorrisi e tanto tè.
Si deve convivere con il caso in posti come questo. Ma qualunque donna o uomo che abbia mai affrontato il processo creativo con coscienza e disciplina si è reso conto che il caso è cruciale anche in questo.
Sono anni che cerco di capire come migliorare il mio lavoro di fotografo, e continuo a farlo ogni giorno, ci sono ancora tante domande a cui non ho trovato risposta. Ci sono una serie di cose che si possono imparare come la tecnica, il mestiere, la coscienza della luce.
Ma quello che veramente conta in una foto, deve venire, non può essere completamente premeditato. Il punctum, un sottile atteggiamento del soggetto o qualcosa che arriva all’improvviso nell’inquadratura, il valore vero di una foto, che ci spinge dall’altro lato, oltre alla mera coerenza tecnica. Le cose devono succedere. Possiamo essere pronti, ma non possiamo sapere quando e come.
E soprattutto non possiamo sapere se arriverà. E questa è la fede dell’artista: nel caso, o nel Dio, o nel proprio talento. Il legame fra la creazione artistica e il misticismo è proprio quello che alcuni chiamano caso, altri Dio a altri talento.
E ci sono dei momenti in cui lo sentiamo, la foto è lì, davanti a noi, è un dono che è arrivato da chissà dove e dobbiamo essere abbastanza bravi a fissarlo sulla pellicola, il più delle volte senza successo. I doni sono talmente tanti, i doni del caso, o del Dio, che non possiamo nemmeno avere il tempo o la destrezza di fissarli tutti.
Il mondo è pieno di doni, sono talmente tanti che non avremo mai tempo di poterli ricevere tutti. Il nostro compito è soltanto quello di imparare a vederli, a riconoscerli, come messaggeri. E quando si incontra il messaggero possiamo riconoscerlo e invitarlo ad entrare, spendere un po’ del nostro prezioso tempo con lui o possiamo scacciarlo.
Al tempo del liceo ho speso tanto tempo, la “ricreazione”, a guardare Alice. In realtà non avevo aspettative, era troppo grande per me: lei era in quinta e io, penso, in terza. La guadavo e basta, solo perché era bella, avevo sedici anni. Io e Gento, il mio compare sulla scala, la consideravamo un specie di diva del cinema.
Ne io ne Alice, sapevamo cosa ci avrebbe portato questo strano gioco della scala. Queste sue parole, sono quello che ha prodotto, chiudendo il circolo dopo tanto tempo. Facendomi ritrovare un’amica e facendomi ricordare tutti doni che il caso mi da ogni giorno.